Il futuro della Professione: Procurement e Supply Chain Manager – Da Approvvigionare Novembre 2016
Il IV Negotiorum Fucina 2016 si è aperto in “plenaria” con una tavola rotonda di professori universitari, il cui dibattito sul tema del futuro della professione del Procurement e Supply Chain Manager. Dopo i ringraziamenti di rito – a nome del Presidente ADACI Renzo Zarantonello e del Comitato Scientifico del Fucina – al team di professori che ha accettato di partecipare dell’evento, Federica Dallanoce (Consigliere nazionale ADACI e PM Eventi) ha introdotto la discussione con una breve presentazione, ponendo domande e coordinandone lo svolgimento.
«Viviamo in un’epoca di forti e rapidi cambiamenti, trascinati da una digitalizzazione sempre più pervasiva. Come la ferrovia ha cambiato il modo di muoversi dell’umanità, così la digitalizzazione trasforma e rinnova ogni competenza, portando a business model inaspettati. Anche procurement e supply chain ne sono investiti, per la continua innovazione di materiali e normative, nonché la volatilità dei prezzi. Nelle filiere produttive stravolge il verso dei margini. Guardiamo nell’automotive: oggi il peso dell’elettronica supera il 50%, domani con Google CAR i valori potrebbero essere ancora più sbilanciati. Quali fattori incideranno sui cambiamenti futuri e quali trend ed indirizzi sono già in atto? Quale peso e quali andamenti di prezzo porteranno tecnologie ‘mobile’, ‘big data’ e ‘Internet of things’ che stanno trasformando i processi di business e le piattaforme tecnologiche, rimodellando le modalità con le quali viene gestita la relazione con i clienti, la sicurezza, la supply chain? E, traducendo la riflessione in azioni ed obiettivi concreti, quali novità si annunciano? Avendo riguardo, in particolare, ai temi in argomento in questo convegno: riduzione dei costi; nuove opportunità di business; internazionalizzazione; localizzazione; savings; relazioni con clienti; contenimento dei rischi.»
Intervento di: Luciano Fratocchi – Università dell’Aquila – Professore Associato di Ingegneria Economico-gestionale.
Che succede nel procurement delle aziende italiane?
Negli ultimi anni, il ruolo del procurement nella gestione aziendale è ulteriormente cresciuto, rafforzando il suo fondamentale contributo alla creazione ed al mantenimento del vantaggio competitivo delle aziende manifatturiere. Ciò è il risultato di una pluralità di elementi, in primo luogo l’evoluzione dei processi di globalizzazione che – pur persistendo e caratterizzando i principali settori industriali – hanno imposto serie riflessioni a causa dei non infrequenti casi di supply chain disruption dovuti ad eventi naturali e politico-sociali. Conseguentemente, si è registrato un significativo ripensamento delle strategie di acquisto dei materiali e dei servizi, che si è talvolta accompagnato anche ad una revisione critica delle scelte di out-sourcing, dimostratesi non sempre l’attesa panacea per i problemi gestionali delle imprese.
Allo stesso tempo, si assiste ad una sempre maggiore diffusione delle tecnologie informatiche e di comunicazione, che ormai fanno parte integrante dei prodotti, come dimostra il diffondersi dell’Internet delle cose e, più in generale, dei principi di Industria 4.0.
Infine, non bisogna trascurare alcune profonde trasformazioni che stanno caratterizzando il consumatore, spesso sempre più attento alla qualità “tangibile” del bene, espressa in termini di tracciabilità della produzione, certificazione delle dimensioni sociali dei processi di produzione, livello di personalizzazione dell’offerta.
Quale evoluzione e trend si vede nel mondo degli acquisti?
Ritengo che gli elementi che ho precedentemente tracciato indurranno una significativa evoluzione della figura del responsabile del procurement, in quanto rappresentante di un “sottosistema di confine” che mette in connessione l’impresa con uno dei “pezzi” di ambiente esterno (fornitori, terzisti, operatori dei trasporti, …) che negli ultimi anni sta subendo le maggiori evoluzioni. Conseguentemente, tale figura professionale deve associare agli aspetti tecnico-economici classici (ricerca dei potenziali fornitori, qualificazione, negoziazione, …) anche elementi a maggior contenuto “strategico”, quale l’attività di scanning tecnologico per contribuire a prevenire l’evoluzione tecnologica dei materiali e dei servizi di cui l’impresa ha bisogno.
Da un simile scenario deriva l’assoluta necessità per i responsabili dell’area acquisti di elevare continuamente il proprio capitale umano anche attraverso processi di formazione continua.
Intervento di: Paolo Barbieri – Università di Bologna – Ricercatore Dipartimento Scienze Aziendali.
Quale andamento e quali conclusioni possiamo trarre?
Rispetto alle tradizionali prassi di internazionalizzazione dell’impresa, il modello di “sistema globale del valore” emerso con forza a partire dai primi anni ’90 ha presentato elementi innovativi. Senza pretesa di esaustività, ne suggeriamo un paio fra i più significativi e utili a caratterizzare il fenomeno. Il primo ha riguardato la natura delle attività e funzioni oggetto del processo di internazionalizzazione: se negli anni ’70 e ’80 essa si declinava soprattutto in termini di finanza e marketing, nel nuovo modello ha assunto un ruolo centrale la costituzione di un sistema produttivo globale, generalmente inclusivo di stabilimenti localizzati all’estero. Il secondo ha riguardato il perseguimento dell’integrazione strategica e operativa. Tradizionalmente le unità produttive localizzate all’estero erano finalizzate al presidio del relativo mercato di sbocco, oppure allo sfruttamento di un particolare elemento di vantaggio del contesto (ad esempio il basso costo del lavoro) per l’intero ciclo di produzione di un bene successivamente venduto su altri mercati. Nel nuovo sistema l’impresa ha strutturato la propria catena del valore su scala globale, identificando la localizzazione ideale per ciascuna attività e predisponendo meccanismi di integrazione dei flussi fisici e informativi. Le differenti funzioni possono così essere dislocate in varie regioni, gli input acquisiti o realizzati dove più opportuno, e trasferiti per il passaggio a successivi stadi della catena. Esemplare in tal senso è un caso proposto da Kasra Ferdows, professore alla Georgetown University e fra i più reputati conoscitori dei processi di internazionalizzazione della produzione. Nella sua analisi relativa alla realizzazione di un giocattolo robotizzato, egli evidenzia come una produzione che una decade fa sarebbe stata probabilmente concentrata integralmente in Cina, oggi possa essere pensata come globale e integrata. I vari step di produzione dei componenti del giocattolo (eterogenei per contenuto tecnologico), l’assemblaggio, l’ispezione, il packaging e la distribuzione possono così trovare localizzazione ideale in diversi paesi – dalla Cina a Taiwan, dalla Malaysia agli Stati Uniti, fino a Dubai -, ciascuno in grado di offrire un vantaggio comparato su aspetti specifici.
Questo scenario è peraltro fluido: esiste evidenza di come, negli ultimi anni, ad un flusso di espansione geografica della produzione se ne siano affiancati uno di rientro (noto come “reshoring” o “back-shoring”), ed uno di modifica della scelta di localizzazione globale (“further offshoring”). L’“Offshoring and Outsourcing Report” dell’Economist (2013) ha evidenziato con chiarezza come le aspettative dei manager sulle scelte di localizzazione per il triennio a venire siano andate mutando nel periodo fra gli anni 2009 e 2012. Se nel 2009 l’offshore veniva indicato come scelta più probabile per il periodo 2009-2012 dal 26% del campione (mentre il 16% indicava la modifica di localizzazione offshore [“further offshoring”] e solo il 9% indicava il rientro nel paese domestico), la proiezione del 2012 ha rilevato il further offshoring come opzione più probabile (24%, contro il 23% dell’offshoring), mentre il reshoring ha acquisito una rilevanza ben più sostanziale, venendo indicata come opzione attesa da ben il 19% dei rispondenti.
Quali considerazioni posso essere tratte per la funzione acquisti a fronte di questo scenario?
La prima e più ovvia sembra essere che l’epoca del “global” come “mantra” pare esaurirsi. Ciò non significa, ovviamente, che siano venuti a mancare spazi per proseguire – e forse incrementare – il ricorso all’internazionalizzazione degli acquisti, né che esso possa continuare a garantire saving appetibili. D’altronde – osservano vari esperti della globalizzazione – i fattori macro-economici dei paesi sono per loro natura mutevoli ed esisterà, o emergerà, sempre un paese dove il costo di produzione sia inferiore. La vera domanda è quale sia l’effettiva convenienza a intraprendere iniziative di acquisto globale nella più generale ottica della strategia dell’impresa. I manager degli acquisti devono, da un lato, comprendere chiaramente l’entità e la sostenibilità nel tempo del beneficio economico derivante dall’acquisto internazionale. Per fare questo devono dotarsi non solo di competenze idonee a comprendere i vari costi associati all’acquisto, ma anche della capacità di monitorare – e per quanto possibile intuire – gli andamenti dei fattori di costo, e di elaborare analisi basate su differenti possibili scenari. Dall’altro lato, gli stessi manager sono chiamati a contribuire anche alla più generale definizione della strategia di internazionalizzazione del sistema del valore dell’impresa, evidenziando le conseguenze (positive o negative!) che la dispersione geografica della supply chain determina su fattori competitivi fondamentali, quali ad esempio: la capacità di sviluppo di innovazione, specie se derivante da processi di co-design; la rapidità di risposta al mercato; la robustezza della supply chain.
Indubbiamente vi è una intrinseca complessità nel dare risposte a questi interrogativi, a fronte degli innumerevoli fattori rilevanti nei processi di internazionalizzazione, della loro dinamicità e della diversità di impatto che essi possono generare sulle singole realtà d’impresa. Cionondimeno, la capacità di formulare e implementare proposte coerenti e corrette a queste sfide costituisce una formidabile leva attraverso la quale il mondo degli acquisti può contribuire alla competitività e al successo dell’impresa.
In questa rapida analisi sfumano le differenze fra Procurement e sourcing, le modalità di comunicare e di relazionarsi richiedono una profonda integrazione per ridurre i rischi operativi insiti nella supply chain. Prima era impensabile accedere a report aziendali, ora abbiamo report dinamici, gli indicatori erano suggeriti, ora ci stiamo attrezzando per aumentare la relisilienza della SC.
Intervento di: Alessandro Pagano – Università di Urbino
– Professore Associato di Economia e Gestione delle Imprese.
Il contesto in cui si muovono le imprese, in particolare quelle che operano nei mercati B2B, è caratterizzato da una domanda variabile in termini di quantità e sempre più stringente in termini di requisiti: tecnologia, flessibilità, qualità, efficienza, servizio. Spesso questi vincoli vengono richiesti in un’ottica internazionale e ciò implica un ulteriore elemento di grande complessità in termini di capacità di offerta. Queste dinamiche stanno esercitando una pressione sempre maggiore su funzioni e processi aziendali delle imprese, che devono essere adeguati e ridefiniti per rendere l’azienda allineata rispetto alle nuove condizioni di mercato. Questi mutamenti possono essere qualificati come “innovazioni organizzative” e possono riguardare tutte le componenti aziendali, compreso l’Ufficio Acquisti. Sono emersi vari ambiti in cui implementare nuove soluzioni organizzative e operative: total cost management, supplier development, e-procurement, lean supply, ecc.
Queste possibilità non sono però scontate. Se il cambiamento
è richiesto anche a coloro che operano in ambito Purchasing,
è necessario in primis che in azienda vengano poste le condizioni affinché l’innovazione in questa funzione possa essere “pensata” e “condivisa”, coinvolgendo chi opera negli Acquisti e chi abitualmente collabora con gli Acquisti, all’interno e all’esterno dell’azienda.
Allora sarà auspicabile che in azienda si riesca ad allocare risorse – in termini di tempo, competenze e investimenti – per “pensare” i percorsi di cambiamento da intraprendere. Spesso le imprese “do not know what they know” (“non conoscono quello che sanno”) e ciò può riguardare anche la Funzione Acquisti e il contesto dei fornitori che ruotano intorno all’azienda. Questo processo può richiedere il coinvolgimento di specialisti e di consulenti esterni, che, oltre a fornire le possibili soluzioni organizzative e operative, possono essere efficaci nel marcare discontinuità ormai necessarie in termini di tempo da dedicare alla definizione di questi percorsi e di coinvolgimento di rilevanti attori interni ed esterni all’azienda, che altrimenti continuerebbero a svolgere ruoli “predefiniti” o marginali.
Ed è proprio nei confronti degli interlocutori della Funzione Acquisti che è necessario avere una posizione diversa rispetto al passato, libera da pregiudizi e da “scorie” nei rapporti. La nuova soluzione operativa che verrà “pensata” e “implementata” non potrà essere sviluppata in modo efficace se non è accompagnata da una rinnovata “fiducia” tra Acquisti e Commerciale, tra Acquisti e Area Tecnica, tra Acquisti e Fornitori. Paradossalmente spesso è proprio questo il contesto in cui il cambiamento si rivela ostico e complesso.
Pertanto, una importante sfida per il futuro che la funzione Acquisti deve sapere affrontare è quella di recuperare una posizione “centrale” nella riflessione sui processi di cambiamento e innovazione organizzativa, intrapresi come risposta delle aziende al nuovo contesto di mercato. La valorizzazione del contributo degli Acquisti avrà infatti come premessa necessaria il “riconoscimento” del suo ruolo da parte della Direzione e delle altre funzioni aziendali, con cui riuscire a definire un nuovo allineamento organizzativo e operativo.
Intervento di: Fabrizio Baldassarre – Università di Bari – Ricercatore Confermato e Professore Aggregato di Economia e Gestione delle Imprese.
La professione negli acquisti e supply management continua a svilupparsi in linea con i cambiamenti nell’ambiente competitivo. Le organizzazioni stanno rendendosi conto in maniera crescente dei benefici strategici di un supply management gestito professionalmente. Possiamo identificare due fondamentali tendenze che interessano le professionalità degli acquisti. Una è la crescita dello “specialista acquisti”, con un’approfondita conoscenza del proprio settore, capace di muoversi internazionalmente in diversi processi e supportato dalla tecnologia per fornire risultati. L’uso della tecnologia ha mutato la natura del lavoro eseguito da collaboratori meno qualificati. L’altro principale sviluppo che emerge si riferisce al lavoro dei professionisti degli acquisti all’interno di team integrati di prodotto/servizio, cioè gruppi di lavoro inter-funzionali costituiti con la responsabilità e l’autorità di seguire un progetto fino alla sua conclusione. Questi sviluppi hanno condotto ad un cambiamento nello skill set richiesto all’interno della professione. Diversi studi hanno permesso di identificare le competenze soft che i professionisti degli acquisti del XXI secolo dovrebbero utilizzare per integrare i propri skill di natura più strettamente tecnica: in realtà strumenti operativi e tecniche restano importanti per il successo della funzione, ma non costituiscono più gli aspetti chiave, nel senso che viene dato per scontato che essi siano posseduti dai purchasing professional. Il professionista del supply management deve essere “competente” nell’interfacciarsi internamente con il proprio team e la propria organizzazione ed esternamente con fornitori, clienti ed altri stakeholder. Le imprese innovative ricercano collaboratori negli acquisti “ben formati” con buone capacità di comunicazione e di team-working, una forte personalità e una buona capacità di comprensione dei bisogni dell’impresa. Volendo portare a sintesi quanto detto, “giocando” con l’acronimo ADACI posso concludere che si prevede un aumento in futuro delle competenze di: – Accountability – Digital Trasformation – Achieving Excellence – Community – Innovation.
Intervento di: Vieri Maestrini – Dottorando presso il dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, consulente e docente presso la MIP Graduate School of Business.
I numeri e gli indicatori devono essere sempre più legati alla descrizione della realtà contestuale e proiettati nel dare previsioni e supporto alle decisioni. Quindi, una funzione come quella degli acquisti, per controllare andamenti e filiera non potrà prescindere da un livello in crescita di informatizzazione e, perché no, di digitalizzazione. Fra l’altro, la omnicanalità è un fenomeno legato anche al procurement e alla comunicazione con il fornitore.
Altro aspetto in evoluzione è il pagamento elettronico e la supply chain finance, che spingono per una migliore automazione dei processi della funzione.
Procure to pay, pagamenti a fronte di ordine e codifica materiale, imporranno elementi di velocità e di archiviazione strutturati. Una convivenza di formati, video, edi, cartaceo, file: tutte informazioni da gestire nei contenuti.
L’e-commerce ha avuto buon sviluppo e sta entrando in azienda velocizzando i processi, cambiando il peso delle attività e fornendo indicatori che avranno una funzione importante di monitoraggio e risposta al cliente (quali, ad es.: la misura della componente logistica, la data consegna e il delivery).